Eccoci al secondo appuntamento dei quattro dedicati al tempo in ferrovia.
Dopo la necessaria spiegazione di come è stata “organizzata” la gestione del tempo è tempo (appunto) di porsi la famosa domanda “Che ora è?”
Era sorta la necessità di avere degli orologi, sempre aggiornati, in tutte le stazioni (vedi foto dei teleindicatori a palette e orologi per il pubblico).
Questo serviva non solo ai viaggiatori, ma anche (e forse soprattutto) agli addetti ai lavori; ecco quindi che all’interno di tutte le biglietterie e uffici dei D.M. (Dirigenti Movimento, i colleghi che si occupano della gestione del traffico dei convogli) era obbligatorio avere un orologio.
Il tipo una volta più comune era il classico piccolo orologio a pendolo con cassa in legno e vetro (vedi foto), si trovava praticamente dappertutto ed era di semplice ricarica e molto affidabile, la manutenzione era affidata ad una figura professionale ormai scomparsa, l’orologiaio delle FFSS. l’ultimo orologiaio nel compartimento di Cagliari fu il sig. Repetto, purtroppo deceduto e mai sostituito visto che la tecnologia iniziava a cambiare.
Alcuni dei piccoli orologi a pendolo furono anche usati come timbratori, ossia con una piccola modifica fu possibile associare alla misura visiva del tempo un meccanismo che imprimeva su un foglio di carta l’orario di ingresso ed uscita del personale.
Sicuramente, però, l’orologio più importante di tutta la stazione era quello posto all’esterno, che era di utilità a chiunque passasse nei pressi della stazione e garantiva (quasi sanciva) l’uniformità di orario come abbiamo detto la settimana scorsa.
Ma ……..
E se l’orologio non fosse stato troppo preciso cosa sarebbe capitato?
Abbiamo un magnifico esempio di questo proprio nel nostro museo, l’ex orologio della stazione di Sassari, per gli amici “pendolo”.
Come abbiamo scritto in una delle “piccole storie per piccoli visitatori”, pendolo era un po’ matto ossia ogni tanto si dimenticava un tic o un tac, quindi la puntualità non era esattamente il suo forte, ma non tanto da far perdere il treno ai viaggiatori, a quei tempi uno, due o anche tre minuti di differenza fra un orologio e un altro erano del tutto accettabili.
Oltretutto gli orologi pubblici erano abbastanza diffusi e nei pressi della stazione di Sassari c’era una chiesa anch’essa dotata di orologio, quindi fu semplice per i sassaresi comparare gli orari e scoprire che uno dei due non fosse proprio esatto. In breve tempo la storia dei due orologi non più sincronizzati si diffuse in tutta Sassari, ma i sassaresi non erano scocciati, anzi, da quei simpaticoni che erano iniziarono a scommettere i piatti di favata o giogaminudda (le lumachine che tanto piacciono ai turritani) su quale dei due orologi avrebbe battuto prima le ore a mezzogiorno o la sera.
Dopo anni di onorato servizio Pendolo fu trasferito negli anni ‘80 al museo ferroviario, dove fu deciso di rimettere a posto il movimento meccanico, di riagganciare il contrappeso e riportare tutto alle origini. Con un intervento degno di un grande artista, poi, il quadrante tondo (!) venne ricostruito solo per un quarto, in modo da permettere a tutti di vedere il bellissimo motore a scappamento meccanico.
Purtroppo in tutto il trambusto dello spostamento da Sassari a Cagliari venne perso proprio l’ingranaggio della lancetta delle ore, per cui Pendolo si ritrovò a segnare solo i minuti, ma non le ore, però era molto preciso (quando voleva lui).
Purtroppo un grave incidente, dovuto di certo all’età, avvenne inaspettatamente: nel 2018 un dente della ruota principale dello scappamento si spezzò e pendolo non poté più segnare il tempo.
Per fortuna, dopo un complicato lavoro di restauro durato un anno, l’orologio della stazione di Sassari è stato reso reso nuovamente funzionante.
Grazie al prezioso e impagabile lavoro del laboratorio di orologeria del sig. Gianluca Murgia ed all’esperienza nel campo degli orologi a pendolo del dott. Giorgio Murgia il dente che si ruppe nell’aprile del 2018 è stato ricostruito e accuratamente riposizionato. Con estrema attenzione, poi, tutti i meccanismi sono stati smontati, revisionati, ripuliti e ricollocati al loro posto. Un meticoloso lavoro di ricerca storica ha inoltre permesso di scoprire tutti gli aspetti del complesso funzionamento del nostro vecchio amico.
Tutto il lavoro è stato fatto gratuitamente e di questo non saremo mai abbastanza grati ai due valenti orologiai.
Vi aspettiamo, appena sarà nuovamente possibile, al museo per mostrarvi pendolo nuovamente funzionante e farvi leggere la brochure che riporta le fasi del lavoro, i calcoli sulle riduzioni e rapporti fra gli ingranaggi ed altre interessanti notizie.
Ah, naturalmente pendolo continua a perdere ogni tanto il solito Tic o Tac, non abbiamo voluto snaturare la sua magnifica caratteristica.
La settimana prossima parleremo di due orologi “importanti” che si trovano nella stanza storica del Direttore Compartimentale nella stazione di Cagliari, continuate a seguirci.
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In questo orario del 1896 che abbiamo al museo l'interesse è subito attirato dalle pubblicità.
Meravigliose, semplicissime eppure accattivanti.
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Davvero interessante il reperto storico del 1881 recentemente trovato in ferrovia,si tratta di una nota inviata al Comune di Sassari dall'Ingegner Benjamin Piercy con la sua firma autografa
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Tratto dal fascicolo "piccole storie per piccoli visitatori" che fu distribuito ai bambini che qualche anno fa visitarono il museo.
Il re bassottino e le sue poltrone
C’era una volta un re, proprio come nelle favole, il suo nome era Vittorio Emanuele, terzo, come Lupin.
Il suo grande cruccio era la statura, i re delle favole sono tutti alti, belli e forti, ma il povero Vittorio Emanuele non aveva nessuna di queste doti; aveva un bel paio di baffi, ma i baffi non bastano da soli a fare un re.
Per quanti sforzi facesse, anche se da bambino aveva sempre mangiato la minestra (sua mamma gli diceva sempre : “mangia la minestra così diventi grande”) qualcosa era andato storto e lui non superava nemmeno il metro e mezzo, solo “uno e quarantasette” accipicchia, quel numero proprio non gli andava giù.
Quando si sentiva chiamare con il termine “sua altezza” pensava sempre che lo stessero prendendo in giro.
Pensò dapprima di rivolgersi al mago di corte, tutti i maghi sanno far diventare grandi e grossi, ma i maghi di corte esistono solo nelle favole e lui era un re vero, perciò purtroppo il mago non esisteva.
Esistevano però i consiglieri di corte, quindi li radunò e disse loro :”Voglio sembrare alto, trovate una soluzione!” (era il re, quindi poteva dire voglio).
I poveri consiglieri si arrovellarono e si scervellarono sinché uno di loro disse :”mettiamogli dei tacchi alti!”
Ma ve lo immaginate un re coi tacchi a spillo alti 12 centimetri o con le scarpe di lady Gaga mentre passa in rassegna le truppe, magari in un campo sterrato, col rischio di inciampare e cadere?
In ogni caso l’idea non era da buttare, il calzolaio di corte realizzò dei bellissimi stivali con un tacco segreto nascosto all’interno ed il re superò il fatidico metro e mezzo.
Però ancora non bastava, il re era sempre accompagnato da tantissimi funzionari, diplomatici, servitori e così via, tutti volevano stare accanto al re, solo che in mezzo a tutta quella folla il re non si vedeva più, c’era il pericolo di perdere il re da qualche parte perché era ancora troppo basso.
Non si poteva certo dare al re una bandierina e dirgli “maestà, quando vi perdete agitate la bandierina e verremo a riprendervi”, c’era una certa dignità da mantenere.
Il problema fu risolto in modo ingegnoso, anziché una bandierina il re indossò dei cappelli altissimi, con un lungo pennacchio, in modo che tutti potessero dire: “Ecco laggiù il re, vedo il pennacchio”.
Vittorio Emanuele era proprio contento, per risolvere il trascurabile problema che la sua altezza gli impediva di diventare il comandante dell’esercito italiano (serviva proprio il famoso metro e mezzo di altezza) gli bastò fare una legge, l’altezza minima per poter fare il soldato venne abbassata ad un metro e quarantasette e tutto fu a posto (e chi può fare le leggi se non un re?)
Quando la notizia arrivò in Sardegna i giovani mugugnarono: i sardi allora erano bassottini e molti scampavano al servizio militare proprio grazie alla loro limitata altezza (non avevano certo i problemi che aveva Vittorio Emanuele, per loro un metro e quarantasette andava benissimo).
Da allora, purtroppo molti sardi dovettero fare il militare “grazie” a “sua altezza reale”.
Anche le poltrone creavano problemi, scomode perché troppo alte. Non era il caso far usare al re un seggiolone della Chicco, ve lo immaginate un re appollaiato su un seggiolone, magari mentre mangiava la famosa minestrina della mamma con le gambette che penzolavano nel vuoto ?
Sempre lo stesso geniale consigliere trovò la soluzione: “tagliamo le gambe alle poltrone, così il re sta più comodo”; semplice ed efficace, ecco perché le poltroncine del nostro salotto hanno le gambe così corte.
Al re, ancora, restava il problema delle riunioni con i consiglieri: quando si sedevano non c’erano tacchi o cappelli di sorta, erano tutti ancora troppo alti e al re veniva il torcicollo a guardare sempre in su.
La soluzione fu trovata senza spendere un centesimo: “facciamo sedere il re sul divano che è alto e comodo, mentre le persone più alte si siedono sulle poltroncine basse”, poco importava che gli altri stessero scomodi, l’importante era che la testa del re fosse alla stessa altezza delle altre.
Poi il re si sposò con una regina alta ed ebbe figli alti, ma questa è un’altra storia.
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