Come si traccia una linea ferroviaria o più semplicemente una strada? Il metodo (mi perdonino i colleghi geometri e ingegneri) è molto simile fra le due infrastrutture, cambiano solo alcune caratteristiche quali pendenza massima, raggio minimo delle curve e poco altro. Anticamente il tracciamento era affidato agli animali, un asino carico sceglieva in modo mirabile la strada migliore col giusto compromesso fra pendenza e distanza da percorrere, bastava poi che molte persone seguissero il primo sentiero che la strada era tracciata. Facendo una battuta che circola negli ambienti dei topografi si dice che un giorno l’asino morì e qualcuno disse: proviamo con un ingegnere, tante volte…., almeno ha studiato più dell’asino! L’ingegnere o topografo in genere siccome per fortuna non è un asino ha però bisogno di appositi strumenti che lo sostengano nel suo lavoro e nel nostro museo ne abbiamo diversi, quattro in particolare. Il più semplice è il triplometro, due pezzi di legno da tre metri (appunto) ciascuno con tracciati i centimetri e muniti di livello per metterli orizzontali. Poi mettendone accanto uno orizzontale e uno verticale si riusciva a sapere quale fosse l’andamento del terreno, operazione chiamata coltellazione, semplice ma molto lunga e faticosa. Passando a metodi più moderni abbiamo uno squadro che, come dice il nome, permette di tracciare linee ad angolo retto o inclinate di 45 gradi fra di loro, munito di una bussola superiore per avere una indicazione, anche se poco precisa, della direzione da tenere. I pezzi migliori sono due magnifici strumenti degli anni ‘50 ossia un autolivello 5175 e un tacheometro TARI 4181 autoriduttore, entrambi prodotti dalla Filotecnica Salmoiraghi. A cosa servono questi strumenti dal nome così complicato? Il livello serve a tracciare linee orizzontali, a misurare distanze orizzontali e a misurare dislivelli e a misurare angoli, anche se questi ultimi non con grande precisione. Tutto dipende però dalla precisione con cui si ottiene la linea orizzontale, il nostro livello lo fa automaticamente, ossia basta che la torretta sia circa verticale che dei pesi interni, sfruttando la gravità, mettono verticale una lente ed un prisma ruota la linea di vista in orizzontale. Semplice vero? Per la misura delle distanze e degli angoli vediamo fra poco. Il tacheometro autoriduttore, a dispetto del nome complicatissimo, ha una serie di meccanismi che permettono di misurare distanze inclinate, a misurare angoli e anche a tracciare linee orizzontali, anche se meno precisamente del livello (a ciascuno il suo). Il bello dell’autoriduttore (ecco perché si chiama così) è che trasforma automaticamente le distanze da inclinate in orizzontali, semplificando i calcoli in quanto non si deve tenere conto del valore del seno dell’angolo di inclinazione e pertanto non occorreva (a quei tempi) portarsi dietro i manuali con il valore del seno di tutti gli angoli possibili. Per misurare le distanze basta, oltre allo strumento, un’asta di legno graduata chiamata stadia. Tramite un mirino come quello dei fucili da cecchino è possibile leggere delle tacche sulla stadia e misurare la distanza (per i pignoli la formula è D=K*S*senquadro fi dove K è una costante dello strumento in genere 100 e fi è l’angolo di inclinazione dello strumento, il tutto tenendo conto della regola di Bessel). Considerate che una volta non c’era elettronica o calcolatrici, tutto si faceva a mano, conti compresi, e servivano appositi libretti di campagna come quello che c’è nel nostro museo, in cui si facevano i calcoli direttamente sul campo, per evitare di dover rifare tutto da capo e tornare in campagna una seconda e terza volta in caso di errore. I nostri strumenti sono ancora funzionanti, anche se il tacheometro ha le lenti ormai oscurate dagli anni, mentre il livello ha una qualità ottica mostruosa, è possibile, mettendo lo strumento all’ingresso del museo, leggere la scritta che si trova nella lunetta del palazzo Tirso. Che scritta è? Venite al museo, quando lo riapriremo, e lo scoprirete.
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